Il mio libro
Autore:
Francesca Masi
Edizioni:
Maria Margherita Bulgarini
Collana:
Medicina Narrativa
Pagine: 180
Prefazione:
Prof. Alessandro Maria Vannucchi
Postfazione:
Dott. Stefano Bolognini
Uscita:
11 Maggio 2018
Un libro sul tema del cancro, brillante e autoironico, profondo e estremamente delicato, che vi farà pensare, ridere e commuovere.
L’autrice, una psicologa che vive in prima persona l’esperienza di questa malattia, racconta lo sconvolgimento emotivo, i piccoli
drammi quotidiani, gli inciampi e i successi del percorso di cura.
Francesca Masi, una donna empatica, una professionista e una madre, generosamente spalanca le finestre del proprio animo e racconta con uno sguardo lucido e appassionato quello che sta vivendo.
La protagonista racconta non solo il proprio vissuto personale, ma anche gli incontri con medici, pazienti, familiari, amici, altri esseri umani che, a causa della sua malattia, vengono messi a confronto con l’angoscia di morte. Le loro reazioni sono narrate con sagacia dall’autrice che spietatamente mette a nudo l’ipocrisia di alcuni e l’estrema sensibilità e capacità di solidarietà umana di altri.
Tu sei oncologica, vero? offre a tutti la possibilità di fare un viaggio dentro l’animo di una persona che ha addosso una malattia che fa paura, e di coinvolgersi senza stare male.
Il coraggio e passione per la vita, sono contagiosi e stravincono sempre sulla tristezza e sulla disperazione.
Il cancro colpisce in Italia mille persone ogni giorno, ma è un male sempre più curabile: circa 6 su 10 ce la fanno. In questo libro, l’argomento della malattia è trattato con estrema autenticità, con l’obiettivo di far luce sugli aspetti emotivi profondi che si trova ad affrontare un malato oncologico. Nonostante il tema sia difficile, lo stile è brillante e ironico, il linguaggio è semplice. L’amore per la vita della protagonista, di cui il cancro è parte integrante, fa da sfondo ad ogni vicenda, rendendo la narrazione coinvolgente e estremamente piacevole.
Può essere una lettura interessante e un valido aiuto per le tante persone che si si trovano a vivere il dramma del cancro: per se stesse, per un familiare, per una persona vicina.
Pur non essendo pensato per gli addetti ai lavori, si presta anche a funzionare come uno strumento di formazione per chi fa un mestiere di cura: medici, infermieri, psicologi, educatori; e per chiunque nutra un interesse professionale per il tema trattato.
“Una persona intera”
Postfazione di Stefano Bolognini, Past President della Società Psicoanalitica Italiana (SPI) e della International Psychoanalytical Association.
Io sono uno psicoanalista, un collega di Francesca Masi, ma non ci siamo mai incontrati di persona; solo una sua cordiale telefonata, diversi mesi fa, per commentare insieme – appunto, come colleghi - certi problemi generali riguardo alla comunicazione pubblica di argomenti psicoanalitici.
Ho poi avuto l’opportunità di leggere per conto mio questo suo scritto, con calma e lasciandolo risuonare dentro di me in profondità, e riporto qui ciò che ho sentito e pensato durante e dopo.Io credo che il lavoro psicoanalitico, aldilà della sua indubbia difficoltà e di tutte le teorie più o meno sofisticate che lo hanno necessariamente codificato, sia qualcosa di molto
naturale, basato sul contatto interno con noi stessi e con l’altro, e sul condividere il riconoscimento di quello che viviamo nel profondo.
L’analista, in sostanza, non è un ingegnere della mente: è una persona un po’ più abituata di altri (per via della sua complessa esperienza formativa) a sperimentare questo contatto interno reciproco e a utilizzarlo per uno scambio che, quando funziona, fa stare meglio e fa crescere, rendendoci un po’ più “interi” e più umani.
Potrà sembrare che io prenda la curva troppo larga con queste riflessioni, e che magari stia evitando di riferire qui altre, più forti reazioni suscitate dalla lettura di questo testo decisamente straordinario; ma questi pensieri su “Francesca-collega”, e sul suo modo così introspettivo e sensibile di affrontare la sua esperienza e di raccontarla ai lettori, mi si sono imposti alla mente pagina dopo pagina, insieme a tante emozioni di vario colore.
Francesca è una persona “intera”.
Descrive la paura di “sé come malata di una malattia rara”; di ”sé come paziente” bisognosa di cure tecniche ma anche di accoglienza, di attenzione, di tatto, di affidabilità da parte dei curanti, e la sofferenza e la rabbia sincerissime e inevitabili, provate quando queste necessità di base vengono disattese; così come invece ci fa sentire il benessere e la gratitudine che sente nascere in sé quando si sente riconosciuta e corrisposta nei suoi bisogni.
Descrive il suo sgomento al pensiero di far mancare qualcosa ai suoi cari, prima di tutto al suo bambino che vuole portare alla crescita con tutto ciò che gli serve (e cioè soprattutto lei, la mamma); e ci dà degli assaggi concentrati, bellissimi, di scambi significativi coi suoi pazienti, là dove l’essere “intera” la aiuta in maniera decisiva nel lavoro, e costituisce una risorsa impagabile per sintonizzarsi con loro con sensibilità rara e con evidente efficacia.
E poi c’è la preziosa manutenzione della propria umanità: le sedute dalla sua analista, il “contenitore di lei/contenitore”, dalla quale si sente a sua volta accolta, sostenuta e compresa, in una sequenza che ricorda certi rari dipinti e sculture di alta epoca in cui la Madonna, che tiene fra le braccia il Bambino, è a sua volta abbracciata da Sant’Anna, sua madre (la “Santadonna”?).
Tutto questo ha molto, molto senso: la vita, come ciclo naturale, è proprio così.
E qui, in questa storia vera, c’è da contenere e da sopportare l’angoscia del cancro, e la lotta contro il cancro.
Mi piace come Francesca affronta questa angoscia: non da “temeraria”, che vorrebbe dire non rendersi conto del pericolo e della forza dell’avversario; né tanto meno da “ardita”,che implicherebbe un immagine di sé grandiosa, compiaciutamente narcisistica, tipica dei fanatici auto-idealizzanti di ogni epoca.
Lei affronta questa angoscia da coraggiosa: il coraggioso ha paura, si rende conto del pericolo e non sottovaluta il nemico, ma non gliela dà per niente vinta, e si batte, si batte bene, con un sano istinto che permette anche di cercare e trovare gli alleati giusti (i bravi medici di Careggi e i loro appropriati addentellati esterni).
Già tutto questo giustificherebbe il libro, come vicenda esemplare di interesse collettivo e come dimostrazione di un assetto sano e costruttivo nel reagire a una situazione così traumatica.
Ma in questo libro c’è molto di più, c’è una scrittura che ci fa convivere in presa diretta con la mente, direi anzi con lo spirito e lo stile del tutto personali di Francesca, che si rivela una scrittrice al tempo stesso profonda e vivacissima, sorprendente e piacevole nonostante la dolorosità ineludibile del tema di base.
Francesca non alterna il registro comico a quello tragico per negare la realtà, non la butta in ridere per non piangere; ci fa sorridere (ma in certi passaggi anche francamente ridere) e poi ci turba e ci commuove in profondità, per una ragione evidente: perché è fatta così, perché funziona così, perché è davvero così.
E’, appunto, vera e “intera”; e in più è una scrittrice naturale, con l’aggiunta di quell’inconfondibile, incantevole musicalità toscana, certamente già assunta con il latte materno, che rende così colorita la forma della sua espressione, e così vivo e diretto il suo ritmo.
Si esce diversi da prima, dopo aver letto questo libro.
Il contatto con il sapore della vita, nostra comune condizione, e con l’idea della morte, nostra comune destinazione, ci riesce diverso, aldilà di tutti gli intellettualismi di cui possiamo ammantarci.
Mentre leggevo, mi è tornata più volte alla mente una canzone da me molto amata e poco conosciuta di un nostro storico cantautore bolognese; Francesco Guccini (che poi in realtà, pur avendo fatto di Bologna il suo terreno di coltura, viene proprio da un paese di confine tra Emilia e Toscana, e là è ritornato a vivere in questi anni): “Cinque anatre volano a sud”.
Il testo condensa tante cose che penso, e che questo libro – ripeto: semplicemente straordinario – mi ha fatto rivisitare e ritrovare, come una istintiva filosofia di fondo, nell’avventura della vita.
Grazie, Francesca.
Stefano Bolognini